Attenzione: questa è un’analisi critica. Quindi:
- Analizzo tutto il libro: trama, personaggi, messaggio, con anche riferimenti filosofici e spunti di riflessione.
- Faccio spoiler. Leggete il libro e poi questa recensione.
Ho appena finito di leggere Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley e probabilmente non sono ancora mentalmente uscita dal suo universo… E sono ancora spaesata, sia nel bene che nel male, manco avessi letto Verga. Spero di riuscire a rappresentarvi il mio straniamento nell’analisi critica di oggi che, come al solito, conterrà spoiler.
Partiamo dal principio: 1984 è uno tra i miei libri preferiti. Non ho letto molte altre distopie (oltre alla fattoria degli animali, avevo iniziato Fahrenheit 451 di Bradbury ma non l’ho mai finito per motivi che non sono dipesi da me ed è ancora nella lista dei libri che devo terminare), ma generalmente questo tipo di libri mi piace perché mi fa riflettere; e, sapendo che il Mondo Nuovo è una distopia e avendo visto su facebook un interessantissimo confronto tra i due libri in versione fumetto (che vi consiglio di vedere perché è davvero molto stimolante), un po’ mi ero fatta un’idea di che cosa mi sarei trovata davanti.
Quando però Huxley me l’ha sbattuto in fronte, questo Nuovo Mondo… Ci sono davvero rimasta di sasso. Perché questa non è una distopia. O meglio; non è una distopia nel senso in cui lo è 1984; perché lì almeno una cosa era certa: tutto, ma non quello. Non si poteva salvare assolutamente niente, di questo futuro: tutto era orribile. Ecco, invece, il primo elemento straniante: nel mondo che viene presentato, questo Nuovo Mondo, gli abitanti sono felici. A loro non manca niente: non muoiono, non si ammalano, non soffrono, sono in pace, hanno quello che vogliono, lavorano quanto vogliono, sono contenti della loro condizione, non desiderano cambiare niente.
Qual è il problema, qual è ciò che ci fa storcere il naso? Che sono stati condizionati ad essere felici. Gli strumenti sono i più moderni e avanzati: ormai la fecondazione è completamente in vitro e automatizzata, non esistono più parti e gravidanze, e gli embrioni vengono, già nel loro processo di sviluppo, trattati con speciali provvedimenti in modo tale da renderli fisicamente e chimicamente diversi tra di loro in base al lavoro che faranno da uomini; in seguito, l’ipnopedia, cioè l’insegnamento di slogan mnemonici durante il sonno, impianta nella loro mente delle frasi (ognuno è di tutti, è meglio buttar via che aggiustare, la civilità è sterilizzazione) che diventano verità a causa delle continue ripetizioni e che verranno poi contestualizzate nell’educazione in comunità. Qui, i bambini imparano sin da subito che i loro capricci sono legge: qualsiasi desiderio che abbiano, che sia cibo, rifiuto del dolore, appagamento sessuale o gioco, viene incoraggiato e soddisfatto nel minor tempo possibile, purché sia in linea con gli standard della comunità (quindi giochi solo con attrezzi perché altrimenti sono inutili all’economia, ad esempio). Imparano, ma già sanno dall’ipnopedia, di essere divisi in caste (Alfa, Beta, Gamma, Delta, Epsilon) di decrescente importanza nella scala sociale e di conseguenza di decrescente intelligenza e individualità; e ognuno di loro disprezza i suoi inferiori e ammira i superiori, ma non desidera cambiare le cose perché ama il suo stato e sa che tutti sono necessari per il bene della società. Diventati adulti, questi abitanti del Mondo Nuovo hanno tutto ciò che potrebbe desiderare un bambino di trent’anni: tutte le donne che vogliono, i film odorosi, i giochi, le orge, il lavoro che sono stati condizionati ad amare… E, per qualunque preoccupazione, c’è il soma, questa magica droga che cura ogni male e che li fa partire per una temporanea meravigliosa vacanza. Si mantangono giovani fino a sessant’anni, non si ammalano mai e muoiono in pace, imbottiti di soma. Tutti i mali storici dell’umanità, quelli che i filosofi hanno sempre considerato la causa dell’infelicità umana, sembrano essere stati debellati: morte, sofferenza, malattia. Schopenhauer diceva che l’uomo non può mai essere felice perché ha più desideri di quanti potrà mai appagarne, e il tempo tra un desiderio e la sua realizzazione è troppo lungo; ma qui ogni desiderio, ogni capriccio è quasi immediatamente appagato per volere dello stato, e tutti sono felici.
Perché, allora, c’è qualcosa che non va? Perché, dopotutto, questo non è il mondo che vorremmo?
Perché non ci sono libri né filosofi, non c’è monogamia né amore, non c’è famiglia né amicizia: tutti i legami sono superficiali, destinati a sciogliersi in breve periodo. Ognuno è di tutti, recita uno dei motti della società del Mondo Nuovo; e infatti ognuno dei cittadini è parte di un enorme meccanismo, un anello di una gran catena di montaggio, mantenuto saldo al suo posto per condizionamenti e appagamenti di desideri, ma senza alcuna possibilità di individualzzarsi, di distinguersi, di svilupparsi autonomamente o di accrescere la propria cultura personale. Non a caso, la divinità del Mondo Nuovo è Henry Ford, il primo applicatore della catena di montaggio, l’inventore della Ford modello T (che è il nuovo segno della croce), il primo vero e proprio capitalista, l’inizio di una società votata al consumismo. L’altro modello è un Freud male interpretato (viene confuso con Ford in questo mondo – si pensa siano la stessa persona), che insegna che i bambini hanno una sessualità che va incoraggiata, che il mondo è pieno di padri e di madri che attentano alla nostra felicità e che la famiglia è nociva e fonte di dispiaceri. Padre e madre sono insulti, pneumatico è un complimento, i capolavori letterari e artistici sono stati distrutti, la storia non esiste più, tutto ciò che è vecchio è privo di importanza. È la distruzione di tutti i valori nobili della civiltà occidentale in nome del progresso, del benessere, della felicità; e in effetti questi obiettivi sono stati raggiunti egregiamente. Con il prezzo di una trasformazione in automi, in bambini che piangono per il giocattolo che desiderano e il governo-mamma che sorridendo li vizia fornendoglielo. Per approfondire il background filosofico dietro al Mondo Nuovo, vi consiglio il confronto con lo stato ideale proposto della Repubblica di Platone; non avendo letto il dialogo interamente non posso andare nei dettagli, ma ho notato – e Wikipedia conferma – che sono abbastanza simili come società (nonostante Platone ovviamente non avesse il discorso della catena di montaggio): entrambi propongono una società classista e immobile, in cui i cittadini sono spinti a diventare ciò che in realtà già sono e non hanno modo di cambiare la loro posizione sociale, non esiste più la famiglia… E poi la gente mi chiede come mai io detesti Platone anche se so che scrive bene.
In ogni caso questa parte, ovvero la descrizione della società del Mondo Nuovo, è quella obiettivamente più interessante del libro, e probabilmente rappresenta il vero scopo per il quale è stato scritto: parlare della visione pessimista e consumistica di Huxley del futuro che ci attende. Per questa esposizione, però, l’autore paga un prezzo molto alto: la sostanziale mancanza di una vera e propria trama. Come anche in 1984, anche qui si riflette lo stesso problema: come far scoppiare un conflitto personaggio-mondo in un contesto in cui questo conflitto è sistematicamente impedito? Nel capolavoro di Orwell, l’autore se la cava abbastanza bene perché il condizionamento avviene in maniera tradizionale, ovvero con i media, l’educazione, la lingua… Non si usa ancora la scienza. Ma qui gli umani nascono condizionati, crescono condizionati e muoiono condizionati: è ancora più difficile trovare l’anormale, quello che si batte contro tutti – e inevitabilmente soccombe, ma lo sappiamo già ancora prima di iniziare.
Huxley trova la prima scappatoia nell’inventare il personaggio dall’emblematico nome di Bernardo Marx: categoria Alfa-Plus, è uno psicologo specialista in ipnopedia a cui un errore nella creazione del suo embrione ha donato una statura troppo bassa per la sua casta (per altezza è paragonabile ad un Delta), che gli consente di provare la sensazione da cui gli abitanti del Mondo Nuovo rifuggono maggiormente, la solitudine. Inizia quindi a nutrire sentimenti di ribellione verso la società, a cercare la monogamia, a interessarsi di argomenti tabù come famiglia, rispetto e amore. Il povero Marx, però, non ne esce tanto bene: dopo essere riuscito, con uno stratagemma, a vendicarsi di chi si era burlato di lui e a salire alla ribalta, dimostra di essere stato, in tutto quel tempo, semplicemente invidioso del successo che non poteva ottenere e della civiltà che non riusciva a raggiungere e diventa, alla fine, niente di più degli altri. Anche lui viene annichilito, come Winston in 1984, dalla forza della società; ma, a differenza di Orwell, qui tutto accade perché intrinseco nello stesso individuo, destinato a essere tale prima ancora di avere la facoltà di decidere di esserlo, invece che spinto ad essere tale dalla massiccia propaganda e dalla tortura.
La seconda scappatoia, che io ho trovato in realtà un po’ noiosa, è il confronto con la Civiltà Primitiva: una riserva di Selvaggi, mantenuta per turismo, che risale al periodo B. F. (Before Ford), in cui vige una tradizione mescolata tra quella degli Zuni e il Cristianesimo: ecco che vengono quindi a convergere Gesù e divinità antropomorfe, Shakespeare e lingue Pueblo, in una grottesca sintesi che ha dell’incredibile. Qui cresce John, figlio naturale di due abitanti del Mondo Nuovo, fisicamente diverso dai membri della tribù per via della pelle bianca. Anche lui ha conosciuto la solitudine, anche lui sa cosa vuol dire essere isolati; e così stringe un improbabile legame con Bernardo, che è riuscito a ottenere un permesso per visitare turisticamente questa riserva, e con Lenina, una frivola ragazza Beta che lui si è portato con sé. Con uno stratagemma, Marx riesce a riportare John nel Mondo Nuovo con la madre, Linda, invecchiata nella riserva. Il padre, invece, riveste un importante ruolo nel Mondo Nuovo e ha sempre finora creduto che quella ragazza fosse morta; non sa di avere avuto un figlio, e questa scoperta lo farà licenziare dal lavoro. Ma, mentre la donna desidera soltanto morire in pace dipendente di soma, John, chiamato il Selvaggio, diventa un’attrazione mediatica per il Mondo Nuovo, facendo così salire la popolarità di Marx e di Lenina, di cui lui è innamorato. Il ragazzo, grande appassionato di Shakespeare, vorrebbe instaurare con lei un rapporto più autentico (la vede come una Giulietta del suo tempo) ma non riesce: Lenina è condizionata a considerarsi un pezzo di carne, desidera soltanto fare sesso con lui, e John è costretto a cacciarla per poi ritirarsi in isolamento, dopo aver assistito sofferente alla morte della madre e aver tentato invano di scatenare una rivolta.
In occasione di questo avvenimento, a cui tenta di partecipare anche Bernardo e l’amico Helmholz Watson (che ricopre un ruolo davvero marginale e di cui sinceramente avrei voluto sapere molto di più), John intraprende un lungo dialogo filosofico con il governatore Mustafa Mond, ex-fisico, uno dei personaggi psicologicamente più interessanti del libro perché uno dei pochi che, pur sapendo e potendo leggere e avendo letto molti libri, sceglie di vivere nel Mondo Nuovo perché è l’ultima realizzazione completa e totale del sogno della felicità umana. Per farlo, rinuncia anche al progresso scientifico, sua passione in gioventù, perché pericoloso in una società stabile, e a credere in Dio, perché con l’appagamento completo dei desideri non ce n’è più bisogno. Embematica è la frase conclusiva del dialogo, pronunciata da John prima di ritirarsi in isolamento (dove poi morirà impiccandosi): reclamo il diritto di essere infelice. È questo infatti l’unico modo per sottrarsi all’ipnotico vortice di piacere del Mondo Nuovo: l’infelicità, la malattia, la morte. E, con esse, la riflessione, la crescita, la cultura.
Questo è dunque il Mondo Nuovo, questo è il futuro consumista che Huxley ci prospetta, un futuro al quale ci stiamo sempre più avvicinandoci (pensate ai telefoni la cui riparazione costa di più di un altro telefono – è meglio buttare via che aggiustare -, pensate ai film e ai libri di intrattenimento, senza trama e soltanto con grandi effetti speciali, che guadagnano milioni). È dunque inevitabile? Cosa dobbiamo fare per uscirne? A cosa siamo disposti a rinunciare per la felicità e l’appagamento dei nostri desideri? Esistono dei beni più importanti della felicità, ai quali non siamo disposti a rinunciare e per i quali reclameremmo, se ci fosse bisogno, il diritto di essere infelici?